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Borgofranco d’Ivrea -

Favria

Sabato 05  Ottobre 2024 152km Dislivello 1950mt

Tempo totale: 3:20:25 Ritirati: 19

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d'arrivo
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BAGIOLI Andrea

SOUDAL QUICK-STEP

3:20:25

HIRSCHI Marc

UAE TEAM EMIRATES

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ARANBURU DEBA Alex

MOVISTAR TEAM

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La 107esima edizione della corsa si svolgerà lungo un percorso sostanzialmente pianeggiante dalla partenza a Borgofranco d’Ivrea fino a poco dopo il primo passaggio al traguardo a Favria, dove avrà inizio un circuito di 74 km. Dopo Castellamonte, i corridori affronteranno una serie ininterrotta di sali e discese, affrontando tra le altre il Colleretto Castelnuovo, una salita di circa 7 km al 3,4% e la salita del Faiollo (5,1 km al 5,4%). Gli atleti raggiungeranno quindi Pont Canavese e, dopo il ponte sul fiume Orco, si affronterà la salita più dura della corsa: ovvero l’Alpette, circa 5 km al 9% e pendenze che raggiungono il 17% nella prima parte su un fondo piuttosto stretto. strada. Una veloce discesa porterà i corridori a Cuorgnè, dove inizierà la salita del Pratiglione (4,4 km al 3,4%), ultima sfida della giornata.
Ultimo km
Gli ultimi 5 km sono praticamente pianeggianti su strade relativamente larghe con diversi ostacoli alla circolazione (rotatorie, isole spartitraffico, ecc.) e arredo urbano. Rettilineo finale di 200 m, molto largo (7 m di larghezza) su asfalto.

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Borgofranco d'Ivrea

Panoramica

Borgofranco d’Ivrea, piccolo borgo agricolo del Piemonte, sorto verso la fine del 1200 per volontà del vescovo di Ivrea e del Marchese del Monferrato per costituire un avamposto in una zona contesa (borgo-franco) , nel corso dei secoli e con alterne vicende si è trasformato nell’attuale complesso abitato posto alla confluenza di un importante nodo stradale che collega Piemonte, Biellese, Valle d’Aosta e da lì Francia e Svizzera e sulla direttrice  ferroviaria Torino-Aosta.

Anticamente da Borgofranco passavano i pellegrini che dall’Inghilterra (Canterbury) e dalla Francia partivano per raggiungere Roma percorrendo la Via Francigena. Percorso ancora attuale e molto utilizzato dal turismo lento – sostenibile.

Un territorio attraversato dal fiume Dora Baltea (affluente del Po) dove sono ancora evidenti i segni lasciati da una storia ad economia agro-pastorale: dall’antico Ricetto, quasi intatto, con la regolarità delle sue vie e l’architettura tipicamente rurale delle abitazioni composte da due o tre piani con grandi logge ad archi ed ampie “travà” per deposito fieno e sottostanti stalle, alle frazioni sparse all’intorno, ognuna con la sua chiesa spesso molto antica e un bel campanile romanico in frazione San Germano.

Ciò che distingue Borgofranco dagli altri paesi del Canavese è lo straordinario complesso dei Balmetti, architetture spontanee nate sulla base di cantine che sfruttano correnti d’aria (“ora”) a temperatura costante provenienti da cavità naturali e prodotte da eventi geo-naturali particolarissimi(paleofrana). Uno straordinario territorio  caratterizzato dal fascino di un borgo antico e dalla tranquilla bellezza di un paesaggio variegato  fatto di morbide colline dove natura, arte e cultura rendono interessante una visita.

Una località che apre timidamente le sue porte offrendo ospitalità e accoglienza ai turisti costantemente alla ricerca delle eccellenze. A piedi o in bicicletta è possibile percorrere la Via Francigena che attraversando il territorio comunale propone un interessante percorso potendo così ammirare i vigneti  terrazzati, il complesso dei Balmetti  con l’ex birrificio De Giacomi, l’antico  Ricetto e il seicentesco Palazzo Marini.

Il territorio ha mantenuto nel tempo la coltivazione dei prodotti agricoli locali tramandando nel tempo le specialità eno-gastronomiche (piatti poveri della cucina contadina) : il salame, il lardo, la mocetta, il formaggio invecchiato nei Balmetti , il buon vino e i dolci tipici (canestrelli), questi ultimi  consumati della Corona Inglese.

Gastronomia

Il Comune di Borgofranco d’Ivrea creando il marchio De.C.O. ha puntato sulla valorizzazione dei prodotti locali e da ciò deriva uno stretto e profondo rapporto tra i produttori e il territorio.

Tutto questo deve tenere conto degli elementi di specificità dei prodotti tipici e in particolare:

  • il legame del prodotto tipico con il territorio e l’importanza delle risorse specifiche del territorio nel processo produttivo del prodotto tipico;
  • il carattere collettivo derivante dal coinvolgimento di una pluralità di produttori tra loro;
  • il legame con la comunità locale: la valenza del prodotto tipico spesso va al di là delle imprese che lo commercializzano, e interessa in generale la società e la popolazione locale.

Il dolce tipico e più conosciuto è il canestrello.

Canestrelli di Borgofranco d’Ivrea

Il Canestrello risale all’epoca medievale, infatti durante le feste si preparavano le Nebule, dolci a base di farina e burro, questi servivano per pagare le rappresentazioni attori-chierici e gli organizzatori dei giochi. A Borgofranco i canestrelli vengono prodotti ed esportati all’estero, soprattutto giungono a tavola della Regina Elisabetta d’Inghilterra che continua ad esserne un’estimatrice. Dopo la scoperta delle Americhe e l’importazione del cacao in Piemonte (1650) fu introdotto questo nuovo ingrediente, caratterizzando così i Canestrelli di Borgofranco D’Ivrea. Un tempo le piastre, che servono per dare lo stampo e la forma tipica, venivano scaldate sul fuoco, ora vengono scaldate elettricamente. Queste cialde, variamente aromatizzate al limone, alla vaniglia e al cacao, conservano tuttora la loro antica forma tradizionale: croccanti, sottilissimi e impressi con stemmi di famiglia sono le caratteristiche che contraddistinguono quelli di Borgofranco d’Ivrea.

Punti d'interesse

Il BORGO DEI BALMETTI

I balmetti sono una serie di cantine naturali (se ne contano oggi oltre 200) addossate alle rocce moreniche del massiccio del Mombarone, in uso sin da tempi antichi per la conservazione. Distano circa un chilometro dal centro del paese e si estendono lungo la via Francigena per circa 500 metri formando un villaggio a sé, apparentemente abbandonato e disabitato. La peculiarità dei Balmit (dal termine d’origine celto-ligure balma (grotta), che indica il riparo sotto roccia, incavato nel monte, da cui diversi toponimi d’area alpina piemontese) è spiegata da un singolare fenomeno geo-naturale: le correnti d’aria, localmente chiamate òre (aura in latino), che spirano dalle viscere della montagna infilandosi nelle fenditure delle rocce lasciate dal Ghiacciaio Balteo, consentono di mantenere costanti, all’interno delle cantine, il tasso di umidità e la temperatura, quest’ultima attestata sui 7/8 °C in tutte le stagioni. Mitigando i freddi invernali e rinfrescando le calde estati le correnti creano un ambiente favorevole al deposito e alla conservazione delle derrate alimentari e del vino. Questi fabbricati, molto essenziali nelle forme, esempio di architettura spontanea e popolare, sono composti di norma da uno o due piani fuori terra dove il piano superiore, se presente, è adibito ad incontri conviviali e quindi attrezzato con potagè e caminetto. Lungo questo percorso magico definito “la montagna che respira” è presente “ Balmetti art – Luogo d’arte e di cultura” dove si è creato un percorso artistico lungo il sentiero di collegamento dei Balmetti di sotto con i Balmetti di sopra , la piazza degli artisti come luogo e momento  di aggregazione  per la comunità locale e turistica, attraverso il coinvolgimento dei giovani e delle associazioni presenti sul territorio diventando anche vetrina dei prodotti tipici del territorio attraverso eventi di degustazione, esposizione e distribuzione.

CHIESA PARROCCHIALE DELLA MADONNA DEL ROSARIO E DEI SANTI MAURIZIO E GERMANO

La chiesa venne costruita intorno alla metà del XVII secolo e restaurata appena un anno dopo. L’interno è composto dal tre navate in stile barocco, le colonne presenti sono interamente in marmo, finemente ornate. Accanto all’altare maggiore ve ne ritroviamo altri due laterali, tutti in marmo e in stile, anche questi, barocco. A lato si può ammirare il quadro dell’Annunciazione della seconda metà del 1600 del maestro Orazio Gentileschi.

CHIESA DI SANTA MARTA

L’esterno della chiesa di Santa Marta è in pieno stile medievale. Nel 1691 l’edificio subì sostanziali modifiche.  Il marchese Claudio Marini morì in Borgofranco nel 1629 e fu qui sepolto adiacente al Palazzo Marini, perché in quell’epoca esercitava la funzione di chiesa parrocchiale.

LA CASCINASSA

La Cascinassa in passato è stato il luogo dove alloggiavano contadini e servitù del conte Palma, feudatario di Borgofranco d’Ivrea. Oggi è un complesso residenziale privato ma all’interno della corte è possibile ammirare una fontana a pianta ottagonale in lastre di pietra (la Paciassa) profonda e incassata, che nasconde una storia davvero interessante in quanto usata anticamente come ghiacciaia dove il ghiaccio formato veniva successivamente tagliato e depositato nel balmetto per la conservazione dei prodotti. E’ inoltre ancora visibile l’antico forno a legna in mattoni, per la produzione di pane comune.

PALAZZO MARINI

Un po’ di storia: il Marchese Claudio Marini fu investito del feu­do di Borgofranco dal duca Carlo Emanuele I di Savoia, il 18 gennaio 1623. La famiglia Marini apparteneva al patriziato genovese con illustri antenati. Il marchese Claudio morì in Borgofranco nel 1629 e fu sepolto nella chiesa di S. Marta adiacente al palazzo Marini, che in quell’epoca fungeva da chiesa parrocchiale. Il complesso edilizio di Palazzo Marini occupa un lotto quasi rettangolare all’interno dell’originario borgo medievale, in prossimità della porta verso Ivrea. Si compone di una parte signorile, verso sud, e di una rustica di servizio, verso nord. La parte residenziale, la più importante, è costituita da un piano terreno, un primo piano e un sottotetto. Mancano le cantine, come nella totalità degli edifici di Borgofranco, a causa del terreno acquitrinoso. Lo scalone padronale, posto a lato dell’androne d’ingresso, mette in comunicazione il porticato con il loggiato soprastante, la scala elicoidale, contenuta nella torre cilindrica risalente all’ultimo quarto del duecento. Il Marchese Marini investito nel 1623 del feudo di Borgofranco ha acquistato un lotto di terreno con preesistenti edifici che fece ristrutturare e ampliare inserendo lo scalone e il portico con loggiato. Palazzo Marini conserva un ciclo di decorazioni murali databili al secondo quarto del ‘6oo.
(sulle pareti dello scalone, nelle quattro sale del primo piano e nel loggiato). Sulla volta dello Scalone è dipinto, tra cielo e terra, il mito di Proserpina: in basso è il pianto di Demetra, in alto il carro di Plutone che stringe l’amata tra le braccia. La grande Sala di rappresentanza, a cui si accede direttamente dallo scalone, è coperta da un soffitto a travature in legno decorate con nodi sabaudi. Sopra l’elegante camino in stucco è dipinto, a monocromo, l’incendio di Troia con la fuga di Enea. Sala delle stagioni: i putti dal corpo di pesce bifido e attorcigliato, reggono la trabeazione di una bassa struttura architettonica che corre tutt’attorno all’imposta della volta. Da quattro aperture appaiono allegorie delle stagioni. Sala dell’etica, dipinta con toni smorzati di ocra e di verde e con squillanti inserti di oltremarino e di rosso; su ogni lato scene bibliche con didascalie di commento. Sala dell’abbondanza, è sicuramente uno degli esempi più precoci del genere in tutto il Piemonte. Al centro, sulle nubi di un cielo d’oro, siede l’Abbondanza. Una simile iconografia non può essere stata ideata che in un periodo di fortuna per la famiglia Marini e deve perciò risalire alla prima metà del secolo. Il Loggiato, infine, si prolunga nella parete di fondo con la prospettiva di una galleria a sette campate. Sembra di cogliere, negli affreschi, l’inter­vento di almeno tre diversi gruppi di decora­tori: nella volta dello scalone, nelle prime due sale e in quelle, di più alta qualità e di mag­giore anticipo sui tempi, dell’”Etica” e del­l’ “Abbondanza”

LA VIA FRANCIGENA E PERCORSI CICLABILI

La Via Francigena è la via maestra percorsa in passato, soprattutto all’inizio del secondo millennio, dai pellegrini in viaggio da Canterbury verso Roma, luogo del martirio dei Santi Pietro e Paolo, “alla ricerca della Perduta Patria Celeste”. Nel Canavese si trova la 45°ma delle 79 tappe dell’itinerario compiuto nel 900 da Sigerico, arcivescovo di Canterbury, e dallo stesso descritto di ritorno da Roma, dove aveva ricevuto il paramento liturgico, noto come il Pallio, dalle mani del Papa. L’arcivescovo inglese, infatti, descrisse minuziosamente il suo itinerario verso Canterbury, annotando in un diario soprattutto i vari punti di sosta. Il concentrico, le Frazioni Ivozio e San Germano e la via dei Balmetti si trovano inseriti nel percorso della Via Francigena in territorio piemontese. Lungo il percorso devozionale, i pellegrini usano sostare all’ostello di tappa per accoglienza e pernottamento. Sulla sponda destra orografica della Dora Baltea  è inoltre presente la pista ciclabile della via Francigena.

LA DORA BALTEA  E IL RIO ROSSO

La Dora Baltea (Deura Bàutia in piemontese),  nasce in valle d’Aosta   dalla confluenza, presso Entreves   della Dora di Ferret e della Dora di Vény. Già particolarmente ricca d’acqua, lungo il suo percorso riceve le acque da rii minori, entra in Piemonte e attraversa il Comune di Borgofranco d’Ivrea dirigendosi  verso il Po. Lungo l’asta fluviale il comune ha una proprietà che si estende per 40 ettari sulle sponde della Dora da destinarsi a parco fluviale. Un piccolo affluente della Dora, denominato Rio Rosso proveniente da una cava in collina ed ovest del concentrico rende particolarmente  interessante una passeggiata lungo il fiume. Infatti il rio si presenta con una colorazione gialla (dorata) dovuta al dilavamento a monte di questi pigmenti di cava che venivano impiegati anticamente per decorare le facciate delle chiese utilizzando queste terre “povere locali”.

Strada dei Vigneti Alpini “Route des Vignobles Alpins” (I Tupiun)

A partire dal Comune di Borgofranco d’Ivrea fino al confine con la Regione Valle d’Aosta, la conca morenica è segnata da una imponente serie di terrazzamenti strappati alla montagna e coltivati a vite, dove si ergono vecchi borghi di origine medievale, con viuzze e case in pietra addossate tra loro. Questi terrazzamenti sono costituiti dall’alternanza di muraglioni a secco, con funzioni di sostegno, e di fertile terra morenica trasportata dal fondovalle. Da ogni costone s’innalzano schiere di pilastrini, in pietra e mattoni imbiancate con la calce, dalla forma tronco-conica sormontate da un «cappello» di pietra che hanno suggerito l’insolita definizione di “templi bacchici”. Sui pilastrini poggiano i graticci o pergolati che sostengono i tralci delle viti, denominati in lingua piemontese topia o tupiun che costituiscono l’aspetto più caratteristico del paesaggio. Il viaggiatore proveniente da Baio Dora verso il concentrico di Borgofranco d’Ivrea, sul lato sinistro può ammirare sulle colline di Montebuono l’architettura topiaria dei vigneti.  Il vitigno per eccellenza è rappresentato dal Nebbiolo, mentre la cultivar di vite storica, e ancora oggi la principale, è la cv Picotendro, caratterizzata da grappoli piccoli e strettamente legata al terroir di produzione.

EX FABBRICA DELLA BIRRA

All’interno dei Balmetti è possibile notare un edificio che sovrasta tutti gli altri, presentandosi come un interessante reperto di archeologia industriale, meritevole di attenzione. Si tratta dello stabilimento birrario De Giacomi, chiuso da decenni, che evoca le gesta del fondatore, Luigi De Giacomi, originario di Chiavenna. De Giacomi trovò a Borgofranco un fenomeno di cantine naturali dove spira un’aria fredda, proveniente da fenditure nella roccia dette ore, che mantiene costante la temperatura. Proprio tra i Balmetti il  De Giacomi decise d’impiantare la sua fabbrica di birra, sfruttando le cantine naturali per la conservazione del prodotto. Nel 1913 la Fabbrica di Birra Fratelli De Giacomi di Borgofranco d’Ivrea produceva 12.000 ettolitri di birra a bassa fermentazione e impiegava 60 operai. Nel 1928 si producevano 7.600 ettolitri di birra su un totale italiano di 1.100.000 ettolitri prodotti da 62 birrerie. Lo stabilimento già nel 1880 poteva contare su una ghiacciaia di 1.000 mc di ghiaccio naturale.” La fabbrica di Birra Fratelli De Giacomi rimane attiva fino al primo dopoguerra, sfruttava proprio le caratteristiche dei Balmetti nel processo di produzione della birra.

PANCHINA GIGANTE – BIG BENCH COMMUNITY

La panchina gigante verde-blu, numero 184, del territorio di Borgofranco d’Ivrea è collocata in Località Montebuono in un punto panoramico e contemplativo raggiungibile con una breve passeggiata a piedi tra le vigne.

STABILIMENTO IDROTERAPICO

La grande villa costruita dalla famiglia De Giacomi verso fine 800, immersa nel verde, fu stabilimento idroterapico. Nel 1880 durante i lavori di estrazione di minerale in galleria nella Frazione Biò (concessione dei De Giacomi) si scopre in corrispondenza del centro idroterapico una sorgente di acqua arsenicale che desta grande interesse dal punto di vista medico : in seguito all’analisi delle acque, quella di Borgofranco d’Ivrea, viene valutata come “la migliore delle acque arsenicali”, quindi perfetta per cure delle malattie del sangue, delle vie respiratorie, della pelle, dell’intestino e del sistema nervoso. Lo stabilimento di imbottigliamento acque minerali nei primi del 1900 viene ampliato e abbellito fino al 1936 quando la proprietà vende le aziende.

PARCO DEI 5 LAGHI D’IVREA

I Cinque Laghi della Serra – Sirio, Pistono, Nero, di Campagna, San Michele – sono sparsi su un’area di circa 10 Km quadrati intorno alla città di Ivrea. Il Lago Nero di Borgofranco d’Ivrea è alimentato principalmente dalla pioggia ed è caratterizzato da una suggestiva isoletta nella parte meridionale. Il suo nome deriva dal colore scuro dell’acqua, derivante dalla fitta vegetazione che lo circonda.

SCUOLA DI PARAPENDIO CLUB CAVALLARIA

Il Parapendio in Cavallaria è una disciplina di volo libero praticata fin dagli anni 80. Il decollo avviene da Cima Cavallaria a quota 1446 m slm., dalla Casette a quota 1300m slm, dalle Felci a quota 920m slm e da san Giacomo di Andrate. Il campo di atterraggio è collocato sul territorio di Borgofranco d’Ivrea in Frazione Baio Dora (tra il Comune di Lessolo e Baio Dora). Numerose sono le manifestazioni praticate, in quanto considerato un percorso interessante  a livelli internazionali.

Favria

Panoramica

Centro di pianura, di origine antica; basa la sua economia sulle tradizionali attività agricole, affiancate da una modesta attività industriale. Il territorio, fertile e produttivo, presenta un profilo geometrico ondulato, con variazioni altimetriche appena accennate.

L’etimologia del toponimo, secondo gli studiosi, è da ricercare nella forma latina FABRICA, la cui attestazione più antica, risale all’anno 1110.

Nel XII secolo la giurisdizione del feudo fu concessa ai conti del Canavese da Enrico V. In seguito, l’imperatore Federico Barbarossa, divenutone proprietario, ne affidò il governo ai marchesi di Monferrato. Tra le testimonianze storico-architettoniche del suo passato citiamo: il castello costruito nel XIII secolo, circondato da un giardino che custodisce alberi ultracentenari; la parrocchiale dei Santi Michele Arcangelo, Pietro e Paolo, costruita nel XVIII secolo in stile barocco-rococò; la chiesa di San Michele di origine medievale, accanto alla quale si erge una pregevole torre campanaria in stile romanico, e la chiesa di Pietro Vecchio affiancata da un campanile in stile romanico.

L’agricoltura produce cereali, frumento, foraggi, uva e altra frutta. Parte della popolazione si dedica anche alla zootecnia: si allevano bovini numerosi i maneggi di cavalli. L’industria è costituita da aziende di produzione metalmeccanica e chimica. Il terziario si compone oltre che di una buona rete commerciale anche dell’insieme dei servizi, che comprendono quello bancario e le assicurazioni. Per il sociale, lo sport e il tempo libero non mancano le strutture dislocate all’interno del concentrico e gestite da varie associazioni molto frequentati i parchi comunali. Le scuole offrono un polo scolastico ben sviluppato e molto frequentato che va dalla materna fino alla scuola secondaria di primo grado. Per l’arricchimento culturale è presente la biblioteca civica. Le strutture ricettive offrono possibilità di ristorazione.

Manifestazioni la storica fiera di Sant’Isidoro giunta alla sua 45° edizione con la consueta fiera agricola e il “confronto tra Reines”, a fine marzo e la Festa patronale dei Patroni, Santi Pietro e Paolo, si festeggia il 29 giugno con il grande Luna Park e i sempre apprezzati fuochi d’artificio.

Punti d'interesse

Il Castello dei Marchesi del Monferrato (Sec. XII): Il castello di Favria, ricostruito dai Solaro di Govone, si presenta come un’elegante palazzina con attiguo giardino e parco. I Solaro, fu uno dei più ragguardevoli casati del Piemonte, che si divideva in sei rami detti i marchesi del Borgo, della Chiusa, dei conti di Moretta, di Villanova, di Monasterolo e di Favria. I Solaro, trasformarono il castello in una bella villa, con appartamenti arredati da tappezzerie antiche e moderne e quadri che il Bertolotti descrive come ritratti donneschi, forse di dame di qualche famiglia stata feudataria a Favria. Le decorazioni e gli affreschi più moderni, sono dei pittori Vigna e Ferri. Il parco, è descritto dallo scrittore Bertolotti nel volume VII Passeggiate nel Canavese, come “delizioso e con bei colpi di vista rarefatti.” Molta era la selvaggina: si trovavano fagiani e un cervo, quest’ultimo attrattiva e curiosità per i paesi limitrofi.

Chiesa Parrocchiale dei Santi Michele, Pietro e Paolo (Sec. XVII) e il suo campanile: nel 1688, inizia la costruzione del campanile, terminato nel 1717. Una lapide murata nel basamento ne attribuisce la costruzione alla Comunità di Favria: “Communitas Inchoavit 1688, Perfecit 1717”. E’ a base quadrata con i lati esterni di 6,25 m circa, la muratura ha uno spessore di 1,30m circa. Ed è realizzata con ciot­toli arrotondati legati con malta, alternati a fasce di mattoni, e con peri­metro esterno di mattoni a vista. L’accesso avviene tramite un’apertura nel lato nord, collegata all’ingresso su strada, ad ovest, con uno stretto passaggio collocato tra il campanile e la chiesa. I lati ovest e sud confinano direttamente con la via pubblica, mentre sul lato est è addossata la costruzione che ospitava il teatrino parroc­chiale. Esisteva un cancello per passo carraio che divideva la base del campanile dal fabbricato. Questo spazio, passo carraio, verrà poi occu­pato dal prolungamento del salone. Il campanile di Favria è a sei ordini fuori terra, oltre al basamento rivestito con lastre di pietra con raccordo superiore di pietra modanata. Ogni prospetto è delimitato da paraste angolari che si innalzano al di sopra del basamento. Nelle specchiature del primo e del secondo ordine vi sono due mo­nofore a strombatura interna, la prima architravata, la seconda con arco ribassato. Nel primo ordine le monofore sono tamponate a nord e ad est, men­tre nel secondo la chiusura riguarda il lato nord. Al terzo ordine è presente un oculo di diametro cm 60, ed al quarto un’altra monofora architravata. Il quinto ordine è occupato dal quadrante dell’orologio e la sua altez­za è quasi raddoppiata rispetto a quella del primo. L’ultimo ordine è costituito dalla cella campanaria, che differisce alquanto dal resto della costruzione, da cui è separata per mezzo di un cornicione in pietra e laterizi sagomati. Su quest’ultimo appoggia il basamento della cella, alto 160 cm, articolato in funzione della sovra­stante partizione architettonica. La cella campanaria, completamente in laterizi, è delimitata da para­ste angolari che presentano una tessitura muraria simulante un bugnato piatto e regolare. Su ciascun lato si apre il fornice, con arco a tutto sesto e fiancheggiato da piatte lesene, con capitello, che reggono un timpano con cornici variamente modanate. Il coronamento è costituito da un se­condo cornicione in pietra e laterizi, sorretto da modiglioni in mattoni sagomati, attualmente ricoperti da malta cementizia. Il cornicione sul quale ora poggia una spessa soletta in cemento ar­mato, è sormontato da un tetto a quattro falde con copertura esterna in rame. Una ringhiera metallica alta circa 1 metro corre tutt’intorno al tetto. Il campanile è diviso all’interno in undici vani tramite dieci solai realizzati con travi lignee, infisse nelle buche da ponte dei muri peri­metrali, ed assiti irregolari, collegati da scale a pioli sempre in legno. All’ultimo piano, oltre all’assito, è presente una soletta in cemento ar­mato che sorregge la struttura delle campane. Nei prospetti interni delle murature si può osservare che alla base queste hanno una forte percen­tuale di pietrame misto ai mattoni, verso metà sono in muratura mista, per arrivare poi agli ultimi livelli in cui sono presenti quasi solo mat­toni. Tutti i prospetti interni sono rozzamente rinzaffati con malta. Le aperture, che si aprono con strombatura verso l’interno, non presentano infissi nè tracce di essi. Ad altezze irregolari compaiono le già citate buche da ponte, ma al terzo e quarto livello, si trovano vere e proprie feritoie nella parete est, tamponate poi all’esterno. Ad altezze non costanti il muri perimetrale presenta delle riduzioni di spessore di 10 e 15 cm, mentre l’ultima rise­ga, in corrispondenza del solaio della cella, è di circa 50 cm. Al livello dell’orologio il solaio sorregge il meccanismo collegato con i quattro quadranti. Nei prospetti interni della cella campanaria si osservano le strombature dei fornici, arcuate a sesto ribassato. I davan­zali delle aperture, in origine tutti allo stesso livello, presentano ora rialzamenti diversi nei quattro lati. Il tetto ha struttura lignea, con travi, barcarecci e tavolato.

Chiesa di San Pietro Vecchio o del Cimitero (sex. XI – XII): la chiesa di San Pietro Vecchio è posta ai margini dell’abitato di Favria, in posizione attigua al cimitero. Sorse come modesta cappella campestre intorno al XI – XII secolo: sono di quel periodo la parte inferiore del campanile (poi innalzato) e l’abside romanica (nascosta ora alla vista esterna dai locali della sacrestia e della camera mortuaria del cimitero). Un successivo ampliamento portò la chiesa ad assumere una struttura a tre navate e le consentì di fungere da chiesa parrocchiale. La troviamo citata in un documento del 1329 redatto in occasione di una visita pastorale: viene indicara come chiesa di San Pietro de “Peza” (nome che aveva la località in cui essa è sita), dipendente dalla diocesi di Ivrea. Alcuni frammenti di affreschi romanici emersi sotto le pitture quattrocentesche dell’abside testimoniano come la chiesa, all’altezza del XIII- XIV secolo, dovesse essere già riccamente affrescata. Nuovi dipinti sostituirono nel XV secolo quelli più vetusti: si tratta degli affreschi dell’abside (1432) e di quelli della cappella della Madonna delle Grazie (fine Quattrocento. inizio Cinquecento). Ad essi se ne aggiungevano verosimilmente altri, oggi non più rinvenibili, che dovevano stare nella navata sinistra. L’assetto architettonico attuale della chiesa, vista di fronte, deriva dai lavori eseguiti nel XVIII secolo, quando venne costruito, in mattoni a vista, il pronao a tre fornici sormontato da un elegante frontone, al centro del quale è posto un ovale che ospitava un dipinto ora non più visibile.

Video Borgofranco d’Ivrea - Favria

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